É passato quasi un anno dalla nostra prima intervista a Marco Ceriani, fondatore di Italbugs. La start up italiana si sta muovendo sempre più verso l’estero, e abbiamo voluto capirne i motivi.
Nonostante il nome, siete stati definiti “un’azienda in fuga”, come mai?
In Italia abbiamo la sede dell’EFSA e un Ministero della Salute particolarmente attento, quindi siamo il paese non con più difficoltà, ma con più regolamenti da tenere presente. Allo stesso tempo però, l’Italia è in ritardo nella legislazione riguardante l’uso degli insetti, e questo ci lega le mani. In realtà non siamo scappati dall’Italia, siamo semplicemente andati in paesi in cui è possibile lavorare e non perdere le opportunità di mercato.
Difatti continui a portare avanti anche il tuo impegno nel far progredire la regolamentazione, sia in Europa che in Italia.
Noi siamo parte di IPIFF, l’associazione con sede a Bruxelles che dialoga con il Legislatore europeo per introdurre le normative prima nel settore feed e poi in quello food.
Il 3 Novembre scorso sono stato ascoltato in audizione dal Senato Italiano, Commissione Agricoltura e Produzione Agroalimentare, sul tema degli insetti edibili. Dopo Expo2015 è la prima volta che il tema viene affrontato dal Legislatore italiano.
Noi italiani, calcisticamente parlando, siamo bravi nel contropiede e l’Italia, dopo questa apertura della Commissione, potrebbe da ultima arrivare prima in Europa, autorizzando il consumo di alcune specie di insetti come mangime e cibo. Non abbiamo scelta, come nel docu-film di Leonardo DiCaprio siamo ad un “punto di non ritorno”.
Riguardo il vostro progetto Ithaibugs, una sport food factory tailandese dedicata ad integratori specifici per il gli atleti: come mai proprio la Tailandia?
Perché il progetto è partito da lì 10 anni fa. Io mi trovavo in Tailandia per supportare come nutrizionista gli atleti della nazionale italiana di Muay Thai, ho visto gli atleti tailandesi assumere insetti e ho cominciato ad interessarmene. Dieci anni fa l’argomento non era presente come adesso.
Inoltre la Tailandia è un paese di riferimento, in cui si consumano insetti e in cui sono presenti più di 20.000 allevatori. L’Europa è partita solo negli ultimi due anni, con regolamenti e capacità di lavoro europei, quindi con regolamentazioni e certificazioni ad hoc che invece in Tailandia mancano: lì l’insetto viene trattato come il suo parente gamberetto, e viene trasportato con la catena del freddo oppure essiccato.
Il problema con la Tailandia è la grande diversità rispetto all’Europa, anche la recente morte del re -che era considerato una divinità- potrebbe generare instabilità nei prossimi mesi/anni.
Da ottobre 2016 avete aperto un laboratorio di ricerca in Olanda. A livello pratico, il ritardo nella legislazione italiana cosa comporta per un’azienda che lavora nell’entomofagia? Cos’è che non potevate fare in Italia ma potete fare in Olanda?
Beh, tutto.
In Italia non si può fare nulla, l’insetto è catalogato come un parassita delle derrate alimentari, in primis la pasta, quindi non può essere allevato, non può essere usato nei mangimi (acquacoltura). L’Olanda invece è uno dei 5-6 paesi in Europa in cui si possono lavorare gli insetti. La scelta olandese è stata fatta anche per le avanguardie nella ricerca presenti in questo settore. Che poi sono avanguardie che fanno parte della loro tradizione nell’acquacoltura.
Che tipo di ricerche porterete avanti nella sede olandese?
Sono le stesse ricerche che portavamo avanti in Italia, le stiamo validando e migliorando. Lavoriamo su tutte le fasi, dalla selezione della specie d’insetto, l’allevamento, la nutrizione, la trasformazione dell’ingrediente e lo sviluppo del prodotto alimentare. Ci muoviamo in un settore molto creativo perché è all’anno 0. Ora siamo prossimi alla produzione e quindi al commercio.
Quando vedremo in commercio i vostri prodotti?
Attorno a Natale. Stiamo valutando sia il commercio online che nei punti vendita.
Che rapporti ci sono tra le vostre sedi in Italia, Olanda e Tailandia?
Sono rapporti di ricerca, di persone che si muovono.
In Tailandia abbiamo terminato parte del progetto, che poi continuerà in altri modi. In Europa invece stiamo iniziando con la ricerca e la produzione in Olanda.
Il prodotto è pensato in Italia, ha assorbito la cultura, il modo di vivere e di alimentarsi della tradizione italiana. I lavori che sono stati fatti al Parco Tecnologico di Lodi (PTP Science Park) sono conclusi, ora in Italia rimane solamente un avamposto in cui portiamo avanti un’associazione culturale e scientifica. Non abbiamo mai fatto riferimento al mercato italiano, che è molto anziano dal punto di vista dei consumatori e molto limitato come quantità: diciamo che rimarrà un non-mercato, per lo meno per i prossimi anni.
Quante persone sono alle vostre dipendenze? Sono Italiani o avete un team multiculturale?
Non abbiamo dipendenti ma collaboratori, soprattutto ricercatori che collaborano ad un progetto a seconda della tipologia di prodotto.
Sicuramente il team è internazionale, in Italia ci sono meno competenze nell’ambito perché nelle università estere ci lavorano da più tempo e hanno anche facilitazioni in termini legislativi. Le università italiane non sono meno brave, ma il fatto che in un centro di ricerca come il CNR di Torino o da noi a Lodi si incontrino grandi ostacoli per far arrivare dei campioni di insetti e per lavorarci, determina problematiche e ritardi nei tempi di ricerca. Stiamo parlando di farine o estratti proteici che non possono rimanere bloccati presso il deposito di un corriere, perché si degradano.
Questo è comunque un aspetto da considerare, in chiave di sicurezza più per l’ecosistema che alimentare: bisogna fare attenzione nello spostare gli insetti da uno stato ad un altro, come abbiamo visto per il punteruolo rosso o stiamo vedendo in questi giorni per la cimice asiatica. Dalla lista dei 10 insetti edibili che il Belgio ha presentato al Parlamento Europeo sono state recentemente tolte le cavallette proprio per questo, perchè possono portare a problemi di infestazione dei campi. La normativa deve tenere conto di più aspetti quindi.
Che applicazione futura vedi per gli insetti nell’alimentazione umana?
Sull’insetto non esiste ancora un mercato o un modello di consumo certo; esistono molti riferimenti ma sono tutti tentativi su piccole quantità, perchè il vero problema è che l’insetto allevato in maniera sistemica come i grandi animali non c’è ancora. L’argomento è trattato con troppa semplicità, a volte anche faciloneria: soprattutto in Italia si pensa che l’insetto sia un business conveniente perchè si tratta di qualcosa di molto piccolo, che si può allevare a basso costo e soprattutto che si può utilizzare in fretta. Invece essiccare un grillo intero e tritarlo così com’è non è una grande idea perchè si ottiene un prodotto poco digeribile. Sono stati fatti solo studi parziali, propri del nutraceutico più che del food, sulla digeribilità e le sostanze nutritive che contiene veramente un insetto. La chitina e le fibre sono importanti ma bisogna conoscerle, saperle gestire e dosare, non devono essere una presenza ineluttabile: per esempio fare la pasta con una farina dal contenuto molto alto di chitina ne danneggia irreparabilmente la texture e la reologia.
Il modello che si vede sempre su internet, in cui il prodotto consiste in un insetto seccato e confezionato, in realtà è il modello tailandese, un modello dal quale partire, ma da evolvere. Secondo me i pacchettini di insetti essiccati vanno bene per Halloween, per gli snack, per le feste, per stupire le persone, ma non è un modello di business.
Mettere l’insetto in bocca come si vede sempre sui social o sui media non ha alcun senso perchè non sdogana il mercato ma conferma il senso di repulsione. Nessuno penserebbe mai di addentare un gamberetto, un’aragosta o un granchio così come sono. L’insetto, come qualunque animale anche se piccolo, deve essere lavorato, ci deve essere una modalità di fruizione tipica del food: fare un estratto va bene, utilizzare la parte carnosa/edibile va bene, mettere uno scarafaggio nel piatto non ha invece senso. Francamente non mi piace vedere il cooking show se non fatto da persone professionali come gli chef.
Credo che il futuro dell’insetto edibile sia strettamente legato alla professionalità e alla correttezza di un messaggio chiaro: l’insetto non è bello da pensare ma buono da mangiare! La cultura e il gusto italiano possono fare la differenza anche in questo nuovo modello di business alimentare.